mercoledì, agosto 26, 2009

Metafore, favole e filologia

Da cosa derivano espressioni del tipo "sono fritto", "avere la testa di legno", "ridere a crepapelle"; da cosa deriva l'uso della metafora dell'asino per indicare un bambino svogliato e ignorante? In matematica esiste un teorema denominato dei "due carabinieri" per stabilire, ad esempio, il valore di una serie: la serie A è sempre maggiore della serie B, la serie C è sempre minore della serie B. La serie A e C sono note e hanno limite (tendono a) K (una si avvicina da sopra e l'altra da sotto), la serie B non è nota ma, per quanto detto sopra si dimostra che ha limite K anche essa. Ebbene la metafora dei due carabinieri e le altre locuzioni citate sopra fanno parte del patrimonio linguistico comune, derivano probabilmente da un unica "opera" ormai quasi dimenticata... quantomeno in questa sono tutte citate ma non solo quelle qui sopra, c'è molto di più.

L'opera di cui parlo è "Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino" di Carlo Lorenzini (Collodi) favola scritta circa 130 anni fa.

E' un libro sorprendente.

Ho scritto "opera ormai quasi dimenticata" facendo riferimento al fatto che, per molti, Pinocchio è quel nanerottolo di legno un po' fesso della versione Disney... dire che si tratti di una rivisitazione (seppur molto gradevole) sarebbe riduttivo.

Chiarisco un punto: è ovvio che Collodi attinge al modo di esprimersi dell'epoca e, probabilmente, non inventa nulla sotto il profilo delle immagini evocate da quelle parole che vi ho riportato. Mi sono preso la briga di verificarne almeno una: "son fritto" intesa come "sono fregato"... non mi spingo oltre ma, già qualche anno prima della nascita di Collodi, Gioacchino Rossini usava quella stessa espressione in almeno due sue opere. Mi aspetto che altri prima di lui... eppure Collodi connota quel "son fritto" di una realtà che ne spiega oltre ogni dubbio il significato: Pinocchio verrebbe davvero fritto dal pescatore nella grotta, è già infarinato e a un niente dalla padella, se l'intervento provvidenziale del cane poliziotto, cui il burattino aveva in precedenza salvato la vita, non avesse risolto la situazione.

Il serpente che sbarra la strada a Pinocchio ride del burattino caduto nel fango nel tentativo di superarlo con un salto... ride a tal punto che gli si rompe una vena e muore... il serpente non ha solo "riso a crepapelle" ma è anche "morto dal ridere".

A proposito del defunto cane Melampo che spartiva le galline con le faine Pinocchio fa il seguente ragionamento: “A che serve accusare i morti?… I morti son morti, e la miglior cosa che si possa fare è quella di lasciarli in pace!”... io non so se è così anche per voi ma questa frase la conosco da sempre... e mentre scrivo queste parole un verso da principe mi viene in mente: “'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.”... se Collodi non intendeva questo (ovvero l'inutilità di evidenziare meriti e demeriti di un morto) poco ci manca.

Scegliete bene le favole per i vostri bambini, saranno fonte di citazioni inconsce per tutta la vita, almeno a livello sociologico, contribuite a combattere la semplificazione, regalategli la ricchezza di Pinocchio e prendete l'occasione per rileggerlo anche voi, qualora l'abbiate mai fatto.